Convegno 12/12/09 CRCSSA Ricerca e società:la vivisezione non è solo barbarie e sofferenza animale ma una minaccia per la nostra salute
Convegno 12/12/09 CRCSSA Ricerca e società:la vivisezione non è solo barbarie e sofferenza animale ma una minaccia per la nostra salute
Non essendo uno scienziato e non rappresentando una forza attiva rivolta esclusivamente alla problematica in questione, il seguente intervento non sarà che una successione di considerazioni che partono da fatti e pensieri soggettivamente elaborati.
Nonostante sia stata dimostrata l’inaffidabilità del metodo di sperimentazione animale e l’assoluta necessità di sostituirlo con metodi di alto valore scientifico di cui oggi la scienza dispone, grazie a nuove conquiste raggiunte, ancora si cerca un “modello animale” per i tests.
Si pensi ad esempio al testo del progetto REACH, per la valutazione e regolamentazione delle sostanze chimiche, di fondamentale importanza, vista la méta prefissasi ma, purtroppo, come metodo di base per valutare la tossicità, fa ancora ricorso al “modello animale”.
Ritengo sia doveroso citare un passo del libro “Olocausto” di Milly Schär-Manzoli così per fissare bene alcuni concetti base che penso dovrebbero esseri i capi saldi della politica antivivisezionista.
“Inselspital: il protocollo Scherbarth
Il dr. A. Scherbarth era stato membro di comitato della protezione animali di Berna. Nel 1968 aveva scritto un protocollo, denunciando quanto sapeva riguardo all’Inselspital, e aveva indirizzato il rapporto a un Consigliere di Stato.
Tuttavia questo protocollo era diventato di dominio pubblico soltanto 14 anni dopo, negli anni Ottanta, quando ATRA ne era entrata casualmente in possesso e lo aveva pubblicato. Erano passati 14 anni, era nel frattempo entrata in vigore una legge che si vuole definire di “Protezione Animali”, ma quanto descritto in questo libro, che si riferisce principalmente agli anni Ottanta, si capisce che nulla era cambiato. In realtà nulla è cambiato, neppure da un secolo fa ad oggi, in fatto di esperimenti sugli animali, sia in Svizzera che nel resto del mondo. L’unica differenza è che una volta si parlava di vivisezione: si sapeva che era una cosa orrenda, ma nessuno lo negava. Oggi invece dominano la menzogna e l’ipocrisia.la vivisezione, effettuata su scala industriale, è pianificata a livello di marketing, tutelata e protetta come lo sono tutti i buoni affari. Perfino la parola è cambiata: non c’è vivisettore, oggi, che ammetta di essere tale: sono tutti ricercatori, e quando non possono negare di impiegare animali, allora non vivisezionano, fanno sperimentazione animale.”
Mutatis mutando
gli allevatori di animali da cortile affermano di amare gli animali e di conoscere le esigenze dei loro animali molto meglio di zoofili ed animalisti oltre che di realizzare un lavoro utile all’umanità,
i cacciatori affermano di amare la natura e gli animali selvatici in modo più rispettoso di quanto non lo possano fare gli attivisti contrari a qualsiasi forma di attività venatoria in quanto solo i seguaci di Diana si occupano della “pulizia” dei boschi,
gli allevatori di animali da pelliccia affermano di rispettare le necessità delle varietà riprodotte e che, se così non fosse, sarebbe impensabile l’incremento demografico all’interno della struttura, che il loro “lavoro” serve a mantenere vive specie anche a rischio e che comunque è utile per scoraggiare l’attività di bracconaggio,
i cultori delle varie “fieste” e sagre animali affermano di perpetrare usi risalenti a epoche remote e quindi di esternare e mantenere culture locali senza aver alcuna intenzione negativa nei confronti del soggetto in questione,
questo è un triste elenco che potrebbe andare avanti a lungo.
Ad ogni azione e ad ogni affermazione ovviamente può essere abbinato un fine più o meno etico, più o meno rispettoso, più o meno antropocentrico a secondo del punto di vista.
Una cosa però appare costante in ciascuna di queste attività perfettamente legali: lo sfruttamento animale.
Gli animali vengono fatti nascere in modo innaturale, allevati in cattività per poi essere “utilizzati” come pezzi di ricambio di una grande macchina tritatutto.
A prescindere quindi dall’iniquità morale di queste “attività” produttive umane il risultato sarà solo apparentemente quello a cui si mira: gli animali derubati della personale libertà fisica, cognitiva, evolutiva, di socializzazione positiva, affettiva, del benessere psico – fisico base, di tutto ciò di cui un essere vivente ha bisogno, non potranno che “dare prodotti” aberrati.
La vivisezione, nominata con enfasi sperimentazione animale dagli “addetti ai lavori”, è un lapalissiano esempio di ciò.
Non mi riferisco solo a quanto possa essere sbagliata da un punto di vista etico, né solo a quanto possa essere fallace da un punto di vista fisiologico vista la differenza interspecifica delle diverse cavie rispetto all’uomo, ma soprattutto da quanto possa essere fuorviante da un punto di vista morale.
L’abitudine al male, al dolore, all’utilizzo privo di rispetto di ogni forma vivente al mero fine antropocentrico annebbia, offusca sino ad oscurare, quel barlume di luce che l’uomo intravede.
Gli animali sono esseri senzienti, dotati di tutte le caratteristiche che lo stesso animale uomo ha. Provano dolore fisico e psicologico, provano paura, affetto, ecc. però, almeno per quanto mi sia dato sapere, non hanno l’abitudine di uccidere per arricchirsi, di torturare altre creature con un presunto motivo di salvaguardia specifica; ma, soprattutto, non si convincono di queste assurdità, di tali follie perpetrandole in nome di una demenziale motivazione umanitaria.
Un business, ecco cosa è oggi la vivisezione.
Un ricercatore che voglia sfondare nel difficile mondo dei suoi, e sottolineo, suoi simili, dovrà realizzare una ricerca, a prescindere dalla sua utilità reale, che coinvolga il maggior numero di animali, possibilmente superiori. Dovrà quindi sbattersi per farla pubblicare in una rivista specializzata. In pratica egli dovrà trovare un finanziatore iniziale che creda nella “causa” o che ritenga utile l’impegno economico per secondi fini: a quel punto il “gioco” è fatto.
Il prodotto finale potrà essere utile realmente all’umanità o meno, ma avendo seguito “il protocollo” esso sarà comunque degno di considerazione da parte di colleghi e quant’altro.
Ma tutto questo che ripercussioni può avere?
Sull’immediato potrei dire: la sofferenza, la tortura, la morte per migliaia, centinaia di migliaia, milioni di animali innocenti.
La cosa . . . . . il risultato che viene presentato con enfasi al cittadino, di solito, è una novità inimmaginabile prima, un farmaco dalle potenzialità indicibili, un test risolutivo, ecc.
Ma gli scienziati sanno bene che esistono delle differenze interspecifiche non sempre definite; alcune sono note: ad esempio la cicuta è un buon cibo per i cavalli e le capre, l’oppio è innocuo per i cani, le mandorle sono letali per le galline, il prezzemolo è mortale per i pappagalli, l’arsenico è un blando tossico per le pecore, ecc. ma queste sono evidenze riconoscibili da esperienze empiriche di cui anche un acuto osservatore può essere informato.
Quando “lavorano”, “sperimentano” sulle patologie e sulle relative terapie ad esse correlate, i cosiddetti ricercatori, tendono a lavarsi la bocca con malattie “costruite” in laboratorio sugli animali più simili a noi in quel particolare aspetto.
La verità è che il modello animale prodotto in laboratorio è sempre irreale ed utopistico.
Al massimo può essere ottenuta una sintomatologia tipica della malattia in questione, non certo la malattia vera e propria che è il risultato di una concomitanza di fattori.
A monte, secondo me, si dovrebbe comunque valutare quello che io identifico come IL problema del pensiero sociale in un contesto di cultura occidentale.
Si è radicata “l’idea che il mercato, il più possibile libero da vincoli, sia la chiave e la soluzione dei problemi dell’umanità”(*). Questa idea si innesta profondamente sul presupposto secolarista, secondo cui le culture e i valori religiosi ed etici delle popolazioni non devono avere alcun ruolo nello sviluppo, perché “il mercato da solo sa meglio”. Questo dogma ideologico porta ad imporre un modello unico di sviluppo in ogni Paese del mondo, indipendentemente dalle differenze culturali; e, più precisamente, a distruggere i valori peculiari locali, con l’”arrogante presupposto che i valori culturali occidentali, associati alla globalizzazione, sono universali, ma la cui imposizione in realtà è percepita dalle altre popolazioni come imperialismo”(**).
Alla base c’è anche una concezione dispotica dell’uomo nei riguardi della natura, secondo la quale l’uomo ne è il padrone assoluto e può disporre di essa come gli piace e nella maniera per lui più utile e di maggiore profitto.
La concezione utilitaristica – economicista, che vede nell’animale un bene da sfruttare, è da troppo tempo presente nella storia umana. Infatti da tempo immemorabile l’uomo si è servito degli animali per i lavori agricoli, per il trasporto di persone e di cose prima, per presunte necessità alimentari e di vestiario dopo.
Con l’avvento dell’industrializzazione, con la crescita dei bisogni alimentari e della richiesta di capi di vestiario di gran lusso, sono nate gravissime forme di sfruttamento degli animali, tese al massimo profitto immediato, che non hanno tenuto conto né delle esigenze vitali minime di essi, né dei danni inflitti alla riproduzione delle specie animali e dell’ambiente terrestre e marino, né del fatto che alcuni comportamenti, distruttivi e predatori, compromettevano il futuro di alcune parti del pianeta.
Comportamenti barbari e distruttivi, che comportano gravi sofferenze agli animali, sono ad esempio la caccia alle balene ed a altri grossi cetacei che minaccia l’estinzione di alcune specie, l’uso della dinamite che distrugge la fauna ittica, lo sterminio di animali che abbiano la sfortuna di essere classificati quali animali da pelliccia, l’allevamento di varietà animali ai soli fini sperimentali, ecc.
Alla base di tali comportamenti c’è l’etica del massimo profitto, che non tiene in nessun conto sia le sofferenze inflitte agli animali, sia i danni recati alla biosfera, sia il peggioramento delle condizioni di vita del pianeta, le cui conseguenze graveranno sulle generazioni future.
La vivisezione è una tra le odiose forme di mancanza di rispetto per la vita, sia essa umana sia essa di altra natura. In un’era in cui esistono dei sistemi di ricerca alternativi, maggiormente affidabili e decisamente più economici, è un’eresia soltanto sostenere tale scelta definendola scientifica e finalizzata al benessere.
La vivisezione è morte.
Grazie.
· (*)S. Zamagni, Processi di globalizzazione, civiltà civile.., cit.
· (**) W.F.Ryan, Strategies for defeating poverty and building solidarity and democratic order, Jesuit project on ethics in politics
Eugenia Silvia Rebecchi
Intervento ad Animal Pride, Firenze 2003
Intervento ad Animal Pride, Firenze 2003
Gli eventi di questo tipo, tra l’altro, favoriscono l’interscambio diretto tra individui e gruppi rivolti alla salvaguardia dei diritti degli animali.
Questo “stare tutti insieme” per l’Animal Pride permetterà di rafforzare la volontà di operare sempre più congiuntamente, nel rispetto delle diversità, protesi verso nuove forme di tutela degli animali.
In questa giornata l’Associazione _yusya ha voluto dedicare un po’ di spazio ad un tema che troppo spesso favorisce antagonismo tra assertori del biocentrismo, ossia la metodologia di intervento. In questa sede verranno prese in esame le due correnti diametralmente opposte del movimento: gli interventisti e coloro i quali fondano prevalentemente il proprio impegno nella sensibilizzazione verbale pacifica e non violenta.
Entrambi i movimenti sono spinti dal “sacro fuoco” animalista ed entrambi i movimenti credono fermamente nel fine prepostosi riconoscendo i mezzi utilizzati quali unici accettabili.
Negli incontri associativi sovente si è dibattuto sulla questione e mai si è addivenuti ad una risposta soddisfacente.
Io credo semplicemente che non abbia senso il confronto competitivo delle due correnti poiché l’una può essere interpretata semplicemente come il completamento dell’altra.
So che questo mio pensiero è poco popolare e mi rendo perfettamente conto che potrebbe essere interpretato in più modi. Questo però non può esimermi dall’esprimerlo e “honni soit qui mal y pense”.
Tornando a noi.
Nel variegato universo animalista, in questi ultimi mesi, stanno prendendo forma differenti indirizzi di volontari motivati alla realizzazione del “sogno” personale attraverso azioni dirette.
Proprio questa mattina a Roma sarebbe stata organizzata un’azione di protesta non autorizzata da parte di un gruppo indipendente rivolta a quello che è stato definito “il canificio Parrelli”. Nel comunicato inviato in rete si potevano leggere queste parole: “l'eventuale presenza di sciacalli delle associazioni animaliste
romane verra' rimossa a calci nel culo”.
Parole dure da cui trasuda una ribellione allo stato costituito. Parole ingenue che, nella loro superficialità, manifestano una volontà incontenibile di cambiamento.
Un rifiuto all’aggregazione associativa, l’esaltazione della soggettività, l’intenzione di ottenere tutto e subito senza tentennamenti.
Hanno torto? No. Hanno ragione? Nemmeno. Dipende.
Dipende dalla situazione.
Credo che nessun presente possa trovare odiosa la liberazione dei cani beagle destinati alla sperimentazione animale. Credo altresì che nessun presente possa trovare gradevole l’atteggiamento di ottusa chiusura nei confronti di un’entità indistinta rappresentata da “associazioni animaliste romane”.
L’azione diretta atta a liberare degli animali in difficoltà o destinati al macello o alla sperimentazione o altra tipologia di disagio, a prescindere dall’aspetto puramente legale, può essere l’unica via percorribile in certe situazioni che richiedano un intervento in tempi reali. Ciò, naturalmente, non deve precludere l’aspetto successivo e di sensibilizzazione.
L’azione fine a se stessa permetterà a quell’animale di sopravvivere ma non si confronta con un possibile salto di qualità per quelli che verranno. Non sarà infatti possibile essere sempre presenti per liberare tutti gli animali.
L’unico modo per far sì che la vivisezione cessi di esistere sarà quello di far cadere i “signori” della ricerca sul loro stesso terreno dimostrando in modo sempre più scientifico e mediatico l’assurdità di questa pratica. Una sensibilizzazione capillare, battente, che non dia respiro, che richiami il singolo cittadino ad un ragionamento supportato da dati inconfutabili. E’ la popolazione che fa le scelte politiche, quelle che “fanno e disfano” a piacimento. Se la gente chiederà a viva voce che la vivisezione, piuttosto che una qualsiasi altra forma invasiva nei confronti degli animali, cessi sarà la stessa politica a dirottare i fondi in ricerche o pratiche alternative non lesive.
Questo lavoro è molto più noioso e stressante di quanto non lo possa essere un’azione diretta. Richiede determinazione e costanza, capacità di adattamento e tenacia, versatilità e, perché no, apparente caparbietà.
L’azione richiede una buona capacità organizzativa, velocità d’intervento e sicurezza di movimento ma sicuramente non mette a confronto gli attivisti con i progressi ed i regressi quotidiani di un lavoro fatto a tavolino e rivolto ad un miglioramento graduale e continuo della condizione animale a tutti i livelli.
Personalmente credo che nessuno di noi abbia la verità in tasca.
Non ritengo che qualcuno abbia trovato la panacea.
I risultati lo dimostrano.
Io credo che il percorso che ogni gruppo, che ogni individuo sta seguendo per il miglioramento della condizione animale sia comunque un grande lavoro, da rispettare nel valore che gli è proprio.
Non importa che la meta sia eclatante poiché anche un solo animale salvato dalla difficoltà è già un grande evento di per sé. Ciò che è veramente importante, a mio avviso, è l’intenzione.
Fermo restando il concetto ben chiaro di difesa degli animali, che nulla ha a che vedere con la domesticazione forzata, qualsiasi iniziativa può essere un passo avanti.
Ci sono individui più sensibili al lavoro on the road che si occuperanno della salvaguardia diretta degli animali in difficoltà, altri che percepiscono con maggiore intensità i grandi temi quali la caccia, la vivisezione, la macellazione, ecc. che dedicheranno il proprio tempo alle migliorie legislative e successive applicazioni, altri ancora che vedranno nelle stabulazioni dei laboratori una prigionia insopportabile e si adopereranno per liberare le malcapitate cavie, e così via.
Se i propri sforzi sono portati avanti con sincerità tutte queste attività sono da elogiare, poiché nessuna è lesiva della dignità animale.
La storia insegna a tutti noi che la dispersione di forze indebolisce “il fronte”.
Non è necessario che tutti siano d’accordo con tutti. Anche perché, se così fosse, esisterebbe una sola Associazione animalista. E’ sufficiente che, purché sussistano le condizioni minime di decenza, ognuno faccia la sua parte nel rispetto delle altre.
Può esserci un fondo di verità nell’accusa degli individualisti interventisti quando additano con orrore le campagne di sensibilizzazione demagogiche; però, anche queste, se spinte da ideali migliorativi servono.
Servono a far parlare le persone del problema, servono ad instillare barlumi di coscienza a chi apparentemente non ne ha e, perché no, servono a far entrare fondi da destinarsi alle cure ed al mantenimento degli animali ricoverati. Non voglio credere che esistano Associazioni che utilizzino i fondi raccolti per scopi personali.
Può esserci altresì un fondo di verità nell’accusa delle Associazioni riconosciute quando additano colpevolizzando le azioni dirette di gruppi A.L.F.; però, anche queste, se mirate alla soluzione in tempi reali di un problema altrimenti non risolvibile, servono.
E’ in questo contesto che ringrazio tutti i presenti, indipendenti o rappresentanti di movimenti, per il lavoro svolto.
Un pensiero rivolto a tutti gli animali ci accomuna.
Grazie e buon volontariato!
Relazione Convegno LIDA 2003
Relazione Convegno LIDA 2003
Il nuovo testo presentato, come ogni innovazione, porta con sé una moltitudine di consensi ed altrettanti dissensi.
Certamente permetterà alle persone interessate al benessere degli animali di confrontarsi con rinnovato vigore per risolvere le piccole e grandi problematiche legate al mondo della zoofilia e dell’animalismo.
Se il Senato approverà il testo di modifica, il Codice Penale si arricchirà di un nuovo soggetto di diritto: l’animale.
Nel 1993 l’art. 727 C.P. assunse già un nuovo significato grazie alle modifiche che riconoscevano il maltrattamento in quanto tale e non solamente in relazione alla sensibilità umana.
Le proposte attuali, però, sono decisamente più articolate e particolareggiate.
Quando e se la Commissione Giustizia del Senato avrà riconosciuto il testo, al Codice Penale sarà aggiunto il Titolo XII BIS – DEI DELITTI CONTRO GLI ANIMALI e la Sezione I BIS – DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI GLI ANIMALI.
Il Titolo XII bis sarà suddiviso in due capi, il capo I riguarderà i delitti contro la vita e l’incolumità degli animali, il capo II invece riguarderà le disposizioni comuni.
La Sezione I bis sostituirà in toto l’art. 727 C.P. attualmente in vigore.
L’aspetto che maggiormente risalta in queste modifiche è l’introduzione della reclusione.
Per reati quale il maltrattamento di animale è prevista la reclusione da 3 mesi ad un anno ed una multa da 2.500 a 10.000 euro.
Per reati relativi ai combattimenti è prevista la reclusione da 2 a 4 anni e una multa da 25.000 a 100.000 euro.
Per reati quale l’abbandono di animale è previsto l’arresto fino ad un anno oppure il pagamento di un’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Per reati quali l’impiego di cani e gatti per pelli o pellicce è prevista la reclusione da 3 mesi ad un anno e una multa da 25.000 a 100.000 euro.
Se le modifiche al Codice Penale saranno confermate molti contravventori tremeranno. Ma la domanda che sorge spontanea a chi da anni milita nel volontariato zoofilo è: “tremeranno a ragione?”.
In questi ultimi dieci anni avremmo già dovuto notare delle significative migliorie in seguito al nuovo art. 727 del Codice Penale.
Purtroppo, sovente capita che, per i motivi più svariati, casi di eclatante maltrattamento di animale, abbandono compreso, vengano considerati reati di serie B e come tali trattati.
Il riconoscimento di soggetto di diritto ad un animale sarà un passo avanti utile alla sensibilizzazione di forze dell’ordine (preposte ai controlli) e di Magistratura; ma il dubbio rimane.
Il maltrattamento di animale, salvo rari casi di solito eclatanti, è difficile da dimostrare.
Il cittadino medio, soprattutto in provincia, molto raramente coopera affinché prove e testimonianze portino ad un processo contro un altro cittadino accusato di maltrattare un animale.
Capita quotidianamente di raccogliere esposti anonimi di presunti maltrattamenti ai danni di uno o più animali. In molti casi solo la testimonianza di una o più persone potrebbe garantire una soluzione ai casi presentati poiché le dinamiche specifiche non permetterebbero agli organi di controllo di verificare il maltrattamento.
Questi casi sono, soprattutto in un contesto rurale, di ordinaria amministrazione.
A prescindere dalla collaborazione del cittadino è da considerare una difficoltà oggettiva a stabilire una netta linea di demarcazione tra maltrattamento di animale reale o presunzione di esso.
La normativa, seppur dettagliata, non potrà in alcun caso definire uno standard applicabile ad ogni situazione. Qui entra in gioco l’arbitrio del Magistrato e degli agenti di Polizia che effettueranno le verifiche del caso.
Per fare un esempio: La proposta di legge prevederebbe pene significative per chiunque sottoponga un animale a comportamenti insopportabili, tenendo conto della natura dell’animale valutata anche secondo le caratteristiche etologiche e per chiunque detenga uno o più animali in condizioni incompatibili con la loro natura.
Vi è mai capitato di trovarvi al banco di una fiera che venda animali? Centinaia di volatili stipati in piccole gabbie, decine di orsetti di Russia costretti in anguste tartarughiere a lottare tra loro per uno spazio personale, decine di giovani tartarughe relegate in un impasto di deiezioni ed acqua priva di riscaldatore, per non parlare di cani, gatti, conigli, ecc.
Questi animali, sino a quando un acquirente non li solleverà dal loro stato o, come molto più spesso accade, sino a quando la morte non li libererà, vivranno tra una piazza e l’altra, di giorno all’addiaccio e di notte in viaggio nei camion.
Questi comportamenti lesivi dell’equilibrio psico – fisico dell’animale da parte dei venditori non sono mai stati perseguibili.
E se le nuove proposte di legge saranno confermate nulla cambierà in tal senso.
Infatti il testo al quale ho fatto riferimento per introdurre l’esempio è composto in parte dell’art. 623 ter e dell’art. 727 rinnovati che ricalcano, in queste parti, il testo dell’art. 727 attualmente in vigore.
Nessun agente di Polizia, nessun veterinario pubblico, nessun Magistrato ha mai riconosciuto nella detenzione di “animali da fiera” la violazione dell’art. 727 del Codice Penale.
Decisamente nuovo è invece l’art. 623 quinquies.
Interamente dedicato al fenomeno crescente dei combattimenti fra animali.
Un argomento attuale che investe con forza le nostre Regioni già da diversi anni.
Nel caso di violazione di questo articolo la reclusione e l’ammenda sono significative. Purtroppo però questo tipo di reato è quasi sempre commesso da cittadini appartenenti al mondo della malavita. Mondo avvezzo ai rischi legati alla propria attività prevalentemente illecita.
Combattimenti tra animali della stessa specie o scommesse sulla velocità nell’uccisione di un animale ai danni di uno di taglia inferiore o di specie diversa si differenziano solamente dalle puntate più o meno elevate.
Le grosse stragi di animali legate al mondo dei combattimenti non si consumano nelle ricche “arene” di “importanti” scommettitori poiché queste sono decisamente limitate in numero per gli alti costi che ne derivano.
Gli animali muoiono in massa nelle piccole “arene”, quelle raffazzonate della piccola malavita, quelle di strada.
Una persona che ha un cane un po’ esuberante inviterà i presenti a scommettere sul tempo che impiegherà il suo “campione” a finire il primo gatto che gli passerà a vista, tanto per fare un esempio.
A me, a voi, tutto questo potrà sembrare, oltre che inaccettabile da un punto di vista morale, assurdo, inutile, folle.
Questa però è la cruda realtà, quella che tutti i giorni si consuma nelle strade di alcune città italiane.
Nonostante consideri quindi l’art. 623 quinquies un’interessante novità legislativa, dubito possa essere di aiuto alcuno per i malcapitati animali che si troveranno, loro malgrado, a fare la parte dei killer o delle vittime.
Un altro articolo innovativo è il 727 bis nel quale si definiscono i divieti relativi a video-produzioni ed altro materiale pubblicitario.
Qui ogni persona entri in qualche modo in contatto con materiale contenente scene o immagini relative a delitti contro gli animali è punita.
Un emendamento presentato all’art. 1 del testo unificato, riguarda l’art. 623 quinquies che verrebbe integrato con il punto 1.
Questo emendamento è stato approvato e definisce in modo inequivocabile il divieto di impiego di cani e gatti per pelli o pellicce.
Le proposte di legge riguardanti le disposizioni a tutela degli animali e successivi emendamenti vanno ben oltre le semplificazioni da me esposte.
Era mia intenzione infatti solamente sottolineare i punti più immediati e meno specifici.
Premesso che io non credo nella punizione come atto di giustizia fine a se stessa e che, altresì, io proponga sempre un’alternativa di crescita dell’individuo, suppongo che attualmente le strutture dello Stato italiano, non possano che garantire condanne punitive.
Quindi, seppur con riluttanza, riconosco le proposte di legge di cui sopra come un segnale di maggiore sensibilità nei confronti degli animali.
Naturalmente, in considerazione del fatto che io possa essere definita un’ecoanimalista, mi venga consentita qualche parola a favore di tutti quegli animali che non rientrano nella normativa in discussione.
La legge attualmente in vigore così come quella proposta, affermano che chiunque, senza necessità, ovvero, fuori dai casi previsti dalla legge, maltratta un animale, è punito.
Le deroga di maltrattamento ai casi previsti dalla legge mi fa aborrire e mi induce a riflessioni estese alle incoerenze proprie dell’essere umano.
Il fatto che il nuovo Codice Penale potrebbe contenere un articolo ove si vieta in forma palesata l’utilizzo di cani o gatti per pelli o pellicce mi rende felice da una parte e mi rattrista dall’altra.
La cultura italiana considera cani e gatti animali di affezione quindi essi non possono essere utilizzati per moda ma, ad esempio, possono essere utilizzati, seppur con deroghe, per sperimentazione animale?
Ma tornando alla moda, la mia domanda è: “che diritti superiori possono avere un cane o un gatto rispetto ad una volpe artica, una lince oppure un cincillà?”.
Gli animali da pelliccia di allevamento, nascono e vivono (POCO) in anguste gabbie all’aperto in zone con clima estremamente rigido per far loro infoltire il pelo. Verranno uccisi nei modi più fantasiosi affinché la pelliccia risulti più soffice e sollevata.
Questo forse non è maltrattamento? Dalla nascita alla morte questi animali subiscono le malsane quanto arbitrarie “necessità” umane.
La lista delle incoerenze è lunga e va dalla sperimentazione animale alle corse di cani e di cavalli, dagli allevamenti di animali da macello a quelli stessi di animali di affezione, ecc. sino alla pratica di caccia e pesca.
Io mi rendo perfettamente conto che non sia facile coniugare, ai tempi attuali, ideologia e business in campo legislativo.
Sono anche consapevole che ogni passo avanti, seppur minimale, sia comunque un successo da festeggiare.
E così mi sforzo di accogliere con favore le innovazioni proposte.
Da parte mia non credo di avere altre osservazioni sul tema.
L’unico pensiero che ancora mi insegue è che non sarà una punizione a migliorare l’individuo perché questa non è la via da percorrere per una cosciente sensibilizzazione.
Io credo fermamente che, affinché il processo di sensibilizzazione si estenda a tutti i cittadini, sia necessario un impegno serio e costante anche da parte di tutti gli enti pubblici.
Il semplice buon esempio da parte di Regioni, Province, Comuni, ecc. potrebbe essere un primo passo significativo.
Termino l’intervento ringraziando comunque quanti hanno lavorato nel tentativo di migliorare la condizione animale.
Grazie!
Eugenia Rebecchi
Presidente AYUSYA Ass. di Protezione della Vita – ONLUS
Genova, 1 marzo 2003